Editoriale Cattolici, per l’amor di Dio, meglio la diaspora

Da Todi prove tecniche di neocentrismo ma il comportamento cristiano è da sempre inversamente proporzionale alla smania temporale di preti e laici credenti

Gianfranco Parmiggiani

Parte davvero col piede giusto il neonato non-partito dei cattolici: appello teorico ai valori “non negoziabili” da declinarsi concretamente con la cacciata di Berlusconi magari occhieggiando già all’eterno centrismo del Casini, di turno. Insomma, sgomento allo stato puro. L’esilio di quello stesso Berlusconi-Giuda che la metà circa dei convenuti di Todi identificavano fino a ieri col Martire Gesù, l’Unto del Signore appunto. La stessa Gerarchia ecclesiastica che oggi addita l’antro di Arcore come l’incarnazione della deriva morale guardava non troppo tempo fa alla vituperata villa-monumento come al baluardo estremo ed insostituibile del cattolicesimo praticato. Ecco perché riteniamo che l’assemblea di Todi possa essere benedetta nella misura in cui non dia adito a nessun tipo, dicasi nessuno, di gruppo, formazione, area e consorterie simili.

Ma cosa ha insegnato la storia, e della Chiesa e dei cattolici in politica, specie nel partito unico? Ufficialmente che l’integrità del comportamento cristiano sia inversamente proporzionale alla smania temporale di preti e laici credenti. Che il riempirsi la bocca di “cattolicesimo” (il cui etimo significa ecumenico-universale) e l’auto-etichettarsi tali è spesso servito nei secoli a giustificare quasi ogni tipo di azione contraria a quei valori di sedicente riferimento. La Democrazia cristiana è stata un necessario controsenso ideale e storico in funzione anti-Pci. Un collante di anime differenti accomunate da un nemico; scomparso il quale, non aveva più ragione d’esistere. Da lì si sarebbe dovuti ripartire prendendo come punti di riferimento, per chi ci crede o chi ne è interessato, il Vangelo e la frase di Gesù “li riconoscerete dalle loro opere” oltre ai 120 anni di vita della Dottrina Sociale della Chiesa, costantemente aggiornata, dalle nostre parti, dalla Conferenza Episcopale Italiana. Punto e basta. Tutto il resto è sovrappiù.

Il disfacimento del tessuto etico della comunità non dipende dalla diaspora dei cattolici in politica; ma scusate, non è forse questo il Paese che ospita al proprio interno lo Stato Vaticano dove risiede il Soglio di Pietro e non sono stati questi anni in cui tutti, dicasi tutti, i “leader” di partito, davanti al sormontante vuoto rappresentativo delle loro sigle, hanno fatto reverenza carpiata di fronte a qualsiasi tonaca sacerdotale? E la china qual è stata? E perché esiste solo in Italia, sul quale si discute da mezze secolo, il problema dei “cattolici in politica”? Il “popolo dei liberi e forti” sarà tale non quando si ritroverà numeroso nelle piazze e nelle chiese a sventolare un vessillo-sepolcro imbiancato ma quando unirà idealmente e trasversalmente un crescente numero di uomini e donne che avranno testimoniato, nei fatti e silenziosamente, la loro inattaccabile moralità

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